Giovenale Montefameglio

Ero troppo piccolo per capire perché Papà Giovenale , successivamente denominato “Gringo”, nel 1970 avesse deciso di rilevare un bar in un quartiere alla periferia di Verona, che all’epoca sembrava distante da casa quanto la terra dalla luna.
Abitavamo nel quartiere Filippini in pieno centro, Papà gestiva il Bar Turco in Piazza Erbe, a nemmeno 10 minuti a piedi da casa, in una zona ad alta concentrazione pedonale e turistica.
Ora, invece, per papà, andare al lavoro significava alzarsi presto, prendere la macchina, la mitica FIAT 1500 azzurra, spendere soldi di benzina, farsi 3 km di traffico seppur ancora limitato, e costringere poi mia mamma e noi a prendere l’autobus per quello che sembrava quotidianamente un viaggio infinito.
Mia mamma Adriana, divenuta successivamente l’”Adrianaaaaaa” per colpa di Rocky Balboa Stallone , al mattino doveva portare me e mio fratello a scuola, accudire la nonna, e poi prendere l’autobus per recarsi al lavoro.
Successivamente, alla scomparsa di Nonna Clelia, pure noi fratelli dovemmo iniziare questo quotidiano calvario di trasferimento a mezzo autobus finita la scuola, e alla sera per tornare a casa, non potendo aspettare i genitori fino alla mezzanotte.
Quindi….Papà, perché?
Il quartiere di Ponte Crencano era di lì a venire. Ora useremmo la frase di circostanza “ Qui una volta erano tutti campi!” per definirlo un pò. Gli attuali giardinetti erano un cumulo montagnoso di terra che noi bambini usavamo affrontare con le nostre bici da cross. Il campo da calcio, in centro al quartiere, in terra battuta sbucciaginocchia, era la principale attrattiva che ci potesse essere, campi attorno a parte.
Pure la Chiesa, pardon Padre non me ne voglia, non sembrava tale. Una costruzione le cui sembianze erano quelle di un capannone. Niente campanile, niente campane. Suonavano quelle registrate su nastro.
Dal centro pulsante di Verona alla periferia.
Dai soldi sicuri ad un nuovo inizio. Una scommessa sicuramente, una mossa azzardata.
Da qui capìì che a Papà i soldi non interessavano molto, e poi in quegli anni Verona iniziava a farsi la fama della Bangkok d’Italia per la diffusione e lo spaccio di droghe, e Piazza Erbe ne era proprio il fulcro centrale.
Forse per questo motivo, anzi quasi sicuramente, Papà preferì allontanarsi dal centro città. Eravamo in un’età in cui frequentare determinati luoghi avrebbe potuto giocare a nostro sfavore.
Eccoci quindi in Via Niccolò Tommaseo, angolo Via Belli, quartiere Ponte Crencano, con un locale vuoto da gestire e far funzionare.
Prima cosa da definire: il nome. Da appassionato di calcio e tifoso sfegatato del Verona quale era mio padre, venne scelto il soprannome del centravanti brasiliano della squadra, Sergio Clerici, detto il “ Gringo”. Fondato il calcio club con un bel numero di soci/clienti portati anche dal bar precedente, ebbe inizio una serie interminabile di serate a base di cene abbondanti per scegliere le varie nomine presidenziali e via dicendo.
Il primo passo per attirare clienti era stato fatto. Il Gringo era un ottimo cuoco e sapeva prendere le persone anche per la gola.
Ma non era abbastanza. Un bar di quartiere senza uffici, con pochi negozi, niente passaggio pedonale, ha bisogno di qualcosa di ben diverso per poter funzionare.
Lo sentivo alla sera, a casa, che papà era preoccupato, ma aveva la fortuna di avere a fianco l’Adrianaaaaa che sapeva sempre tranquillizzarlo con poche parole semplici come era Lei.
“ Non ti preoccupare, vedrai che andrà meglio!”. Dette così, buttate lì come niente fosse, senza nemmeno scomporsi.
Avrei capito molti anni dopo che la “piccola” Adriana era la colonna portante della famiglia, colei che non manifestava mai una preoccupazione, e che riusciva a confortare tutti anche nei momenti peggiori. Affrontava così la vita, con la sua semplicità e unicità nel non creare mai drammi.
Nacque da questo momento difficile l’idea di trasformare il Bar in una Pizzeria, la prima e l’unica del quartiere per parecchi anni.
Il Gringo divenne così il centro della vita pulsante del quartiere stesso ( scusate l’immodestia), anche perché non era strano trovare mio papà intento a regalare cioccolatine ai bambini di passaggio, che con un passaparola più veloce di whattsapp riempiva la strada di ragazzini urlanti.
Come le sere dei tornei notturni dove la squadra del Gringo Bar poteva contare su una nutrita schiera di tifosi “ ingaggiati” con un ghiacciolo prepartita. Quanti sono quelli che facevano anche 2 giri per prendersi il gelato?
Chi, allora bambino, non ricorda la domenica mattina quando tutte le squadre di calcio dell’U.S. CADORE, terminata la partita, passavano per premiarsi, vincitori o vinti che fossero, con un triangolo di pizza e una spuma? O, per i più anziani, delle tartine “ Codeghin e Crauti”?
Tornei notturni di calcio, manifestazioni come la 4 Passi di Primavera, i mercoledì di coppa campioni o qualsiasi altro motivo o festa erano buoni per mettere in movimento la voglia di fare del Gringo, sempre in prima linea, ovviamente ben coadiuvato, supportato e “ sopportato” dall’Adriana.
A volte Papà poteva sembrare un burbero, ma era una persona che viveva più di sostanza che di apparenza. Un sorriso in meno e una mano tesa in più, ciò che contava nella sua vita.
Si sarebbe fatto in quattro per poter accontentare coloro che erano anzitutto amici più che clienti.
Ricordo benissimo un giorno di Natale in cui l’Adriana gli chiese di stare in famiglia al pomeriggio, e lui Le rispose “ Ma se non apro, dove vanno i clienti nel pomeriggio?”.
Ecco perché quello spostamento dalla città. Giovenale amava vivere a dimensione d’uomo, il rapporto con gli altri, la fiducia, anche troppa, nel prossimo. Non l’ho mai visto dare importanza al denaro o mostrare cose che non facevano parte del suo modo di essere. E l’Adriana era sempre un passo indietro, ma con la forza e l’umiltà di chi sta sempre davanti a dare forza e sostegno.
Papà Giovenale è venuto a mancare nel 1992, e se ancora oggi le persone mi raccontano e parlano di lui, o di mamma Adriana, scomparsa nel 2019, vuol dire che a tante persone hanno lasciato un ricordo di cui non posso sicuramente non andare fiero.

Daniele Montefameglio

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