L’intimità fuori del matrimonio.
 
Valutazioni cristiane


La mentalità attuale che banalizza i “rapporti prematrimoniali”, li riduce molto spesso solo alla dimensione fisica. Bisogna invece tenere presente che tutta la persona viene di fatto coinvolta. Non ne siamo sempre consapevoli, è vero, ma anche la legge civile lo riconosce quando considera la violenza carnale come un attentato all’integrità e alla dignità della persona. Si è quindi coinvolti molto seriamente quando ci si unisce fisicamente all’altro.
Distinguiamo ora alcuni tipi di RP derivati dalle più frequenti giustificazioni portate al riguardo.
1 Un mezzo di conoscenza
I rapporti fisici, fanno nascere ben presto l’esigenza di vivere insieme. Diventa allora molto più difficile rimettere in questione la propria scelta o, eventualmente, interrompere la relazione. In questo modo la libertà personale può di fatto venire legata. Certamente non è sempre facile stabilire se ci si ama davvero, se ci si dà all’altro per paura di perderlo o, ancora, perché tutti lo fanno… Ma possiamo dire di essere liberi se i nostri comportamenti sono guidati dall’istinto, dalla paura o dall’affettività?
È quindi un inganno giustificare i rapporti prematrimoniali dicendo che sarebbero un modo per conoscersi meglio. Tanto più che la vita sessuale può oscurare nella coppia l’espressione della comunicazione verbale: il linguaggio dei corpi sostituisce molto velocemente il dialogo delle anime. L’armonia sessuale di una coppia dipende dalla qualità dell’amore che unisce le due persone, dalla qualità del dono e non in primo luogo dall’accordo fisico.
Donare il proprio corpo significa donarsi totalmente. Non è poco. E’ un dono, non è un prestito. Se ciò che viviamo non è in armonia con le nostre scelte profonde e concrete, non siamo nella verità: è giusto allora concedermi quando non mi sono ancora donato? Siamo nella verità solo se l’unione fisica riflette un dono reciproco, preliminare e definitivo. Questo dono è il matrimonio. Solo in esso l’unione fisica acquista tutto il suo significato.
Ascoltiamo un’altra testimonianza in proposito:
Luisa: “Avevo deciso che i principi inculcatimi dai miei genitori erano ormai tabù da togliere. A Davide volevo bene, mi sembrava il ragazzo per la vita: perché aspettare il matrimonio per avere un rapporto sessuale con lui? Stranamente il nostro amore invece di crescere si sgretolava. Avevo l’impressione che tutto cominciasse e finisse in quel rapporto fisico. Ad un certo punto mi chiesi se aspettassi un bambino. Pensai che questo evento ci avrebbe portati a parlare di più… Davide invece evitò il problema dicendo che ci sono tante soluzioni per risolverlo. Mi ritrovai sola con questo peso, che fortunatamente si rivelerà infondato. Delusa, ho deciso di lasciarlo. Dopo un po’ di tempo ci siamo rivisti. Tra noi si poteva ricominciare, ma in un altro modo, a partire dalla purezza. Davide diceva di amarmi ed ha accettato ”.
Davide: “Eravamo stati insieme, io la tentavo continuamente, però lei era eroica. Questo mi stupiva e mi faceva pensare con rispetto alla sua scelta. Mi piaceva confrontarmi con Luisa su come vivere la vita insieme. Ora avevamo un dialogo costruttivo, parlavamo di moltissime cose, ci conoscevamo in modo diverso, valorizzando le esigenze interiori dell’uno e dell’altro. Ho capito che le volevo veramente bene, così abbiamo deciso di sposarci. Dopo il matrimonio, incontrarmi fisicamente con Luisa è stata una delle esperienze più emozionanti della mia vita. Questo aspettare e conquistare prima il cuore e poi il corpo, quel rispetto guadagnato faticosamente aveva fatto crescere il rapporto tra noi. Qualche tempo dopo ho ringraziato Luisa per tutto questo”.
(Luisa e Davide – Roma tratto da Città Nuova, n.1 – 2003)

2 – Un esperimento
Talvolta i rapporti fuori dal matrimonio vengono giustificati dall’esigenza dell’esperimento, della prova che deve rassicurare e tranquillizzare circa la reciproca intesa sessuale.
Ciò che si ricerca nella nostra cultura con tale tipo di rapporto, è la gratificazione soggettiva e non l’idoneità alla procreazione. “L’esperimento” tradisce una concezione molto riduttiva dell’incontro sessuale, quasi si trattasse di un evento scorporato dalla storia del rapporto complessivo tra i due. Proprio perché l’incontro sessuale non è una cosa dissociata dalla totalità della persona, l’atteggiamento con cui esso è intrapreso non può essere banale. Fare “prove” in questo campo è accettare il principio che si possono utilizzare le persone per esperimenti, il che è misconoscere la dignità di “fine” della persona, ridotta così a “mezzo”. In questo caso si comprende facilmente che
il fine UNITIVO dell’atto è escluso, perché penso che l’amore non sia definitivo se delude le mie attese. Conoscersi è importantissimo. Conoscersi genitalmente a livello occasionale per verificare l’intesa sessuale futura è un’ingenuità, perché la conoscenza del mistero di un essere umano non può essere una indagine solo fisica.
L’esperimento è la contraddizione assoluta dell’amore, il quale comporta fiducia e impegno incondizionato della libertà. L’esperimento configura un rapporto al condizionale dal quale ci si riserva di recedere di fronte all’emergere delle difficoltà. Questo disimpegno reciproco cambia radicalmente il senso del rapporto fin dall’inizio: l’incontro non è più l’evento sorprendente e impegnativo che consente ai due di superare la solitudine di una volta, ma rimane una perpetua verifica, che tuttavia non “verifica” nulla perché la convivenza non è una vera condivisione. Parte infatti con una premessa: “Io ti provo”, cioè “Non ti accolgo come sei, non mi dono tutto a te, perché è rischioso”.
3 – Un’ affettività già coniugale
Ci sono situazioni varie che presumono la liceità del rapporto in quanto che:

  • esiste tra i due partners una ferma volontà di sposarsi
  • esiste un affetto in qualche modo già coniugale nella psicologia dei soggetti
  • in molti casi per circostanze esterne (completamento degli studi, disoccupazione, impedimenti ecc.) la celebrazione del matrimonio è dilazionata o impedita.

L’amore ha come vero orizzonte il bene e la felicità dell’altro. L’atto fuori dal matrimonio può essere sincero sul piano delle intenzioni, ma non vero sul piano degli scopi ad esso assegnati dal Signore!
Come capire che esso è libero da passione, egoismo, strumentalizzazione reciproca? Il gesto fonde i due in una sola carne, cioè in un unico essere, ma non di fatto in una sola vita. Non afferma infatti il “Ti voglio bene” in tutte le dimensioni della vita a due (casa, lavoro, gioie, dolore, tempo libero, etc…): dunque esclude il fine unitivo.
Consideriamo poi che spesso il fine PROCREATIVO dell’atto è escluso,
perché avere rapporti fuori dal matrimonio non considera l’ipotesi di un figlio. L’apertura alla vita presuppone difatti le condizioni di stabilità e protezione adatte ad accoglierla. Qualsiasi atto coniugale deve per sé rimanere aperto alla vita, cioè non privato della forza procreativa. La natura stessa ha stabilito che nel momento della massima unione dei due sposi, durante l’atto coniugale, si stabiliscano le condizioni per la nascita della vita umana.
È comprensibile la mortificazione di quei giovani che non riescono a sposarsi per le ragioni esposte. Le famiglie e le comunità parrocchiali sarebbe auspicabile che intervengano per aiutarli materialmente e spiritualmente a non sfiduciarsi nel cammino vocazionale intrapreso.
4 – La dimensione ecclesiale e sociale dell’amore
La Rivelazione cristiana chiarisce che la sessualità umana possiede il carattere del “sacro”, il che significa che l’uomo è chiamato a concreare con Dio.
Per un cristiano consultare Cristo, il Dio fatto uomo, è naturale per capire quale amore rivela l’umana dignità. Anche in questa dimensione Egli è Maestro, infatti definisce l’unione uomo-donna un legame che coinvolge necessariamente Dio (Mt.19). Quando non si rispetta questa verità religiosa (e perciò ecclesiale) della sessualità, si nota che il costume decade e le norme morali scompaiono.
a. La dimensione ECCLESIALE della sessualità
Io e il mio ragazzo siamo credenti e la presenza di Dio nella nostra vita è fondamentale, per questo vorremmo capire il senso della sessualità alla luce non solo delle nostre idee e dei nostri bisogni, ma anche secondo il pensiero di Dio, perché di Lui ci fidiamo. In questa ricerca purtroppo, abbiamo trovato solo due posizioni estreme, contrapposte ma ugualmente rigide: una totalmente ripiegata sul principio del piacere che l’individuo ha bisogno di soddisfare, l’altra contrassegnata da un “no” rigido e non discutibile della Chiesa ai rapporti prematrimoniali. (Debora)
L’uomo da un lato vuol conoscere il “pensiero di Dio”, tuttavia spesso giudica la Chiesa quasi fosse distributore di regole sganciato da Dio. Emerge un concetto erroneo di Chiesa che concepisce l’unione tra l’uomo e la donna come un fatto burocratico regolato da un codice, non da una comunità di fratelli. Come conseguenza il cammino della coppia è cosa privata, scardinata dalla comunità e il sacramento è solamente un certificato in più (vedi le coppie che cercano la chiesina romantica per sposarsi). In realtà il Magistero della Chiesa afferma che la coppia degli sposi è un dono che si innesta in una specifica realtà ecclesiale detta comunità parrocchiale. Ogni nuova famiglia cristiana si impegna ad essere segno e strumento per la costruzione della Santa Chiesa, cioè della presenza di Dio tra gli uomini voluta da Gesù e da Lui strutturata in una comunione di persone.
“La Chiesa è Dio sulla terra”, scriveva la venerabile Benedetta B.Porro. L’ignoranza della Parola di Gesù prevalente in molti cristiani, induce a considerare la Chiesa una voce non autorevole nè rappresentativa della volontà di Dio nella nostra vita. Quando viene meno questa certezza, è logico non accettare nulla da questa Madre che in realtà ci continua a nutrire della Parola di Dio, del Perdono di Gesù, del Corpo e Sangue di Colui che diciamo di amare.
Forse non ci si pensa, ma la paternità della Chiesa è di Gesù. Egli aveva promesso la continuità della sua Presenza tra di noi ed in noi nella persona di un suo vicario: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt. 16,18). Perciò il vangelo esige che ci interroghiamo sulla consistenza di un frequente malumore verso la Chiesa, ove ne fa le spese la validità del suo insegnamento come la ricchezza umana di milioni di santi che essa ha generato, oscurati dal fragore dei peccati commessi da alcuni suoi membri. Per dare un giudizio equilibrato, può servire riflettere sulle parole del Papa:
“Si può criticare molto la Chiesa, noi lo sappiamo e il Signore stesso ce l’ha detto: essa è una rete con pesci buoni e cattivi, un campo con il grano e la zizzania. In fondo è consolante che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti, possiamo sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori” (Benedetto XVI, Colonia, XX GMG).
La Chiesa è la casa di coloro che si riconoscono peccatori bisognosi di salvezza, è la famiglia di ogni uomo di buona volontà, non un club privato di perfetti. Il Signore ci ama tutti e ognuno di noi nella sua casa può dire: “Sì, qui c’è amore anche per me!”.
Non ci siamo auto-creati, non ci siamo salvati da soli, non siamo fatti per stare da soli! Il Signore ci ha salvati e desidera che ci salviamo INSIEME, uniti a Lui attraverso la realtà nata dal suo sacrificio, la comunità di fratelli che si amano da Lui chiamata “la mia Chiesa”.
E’ vero che i ministri ( = i protagonisti) del matrimonio sono gli sposi, ma essi sono persone che fanno parte di una comunità, e la comunità deve regolare con norme i fatti più importanti al suo interno, tra questi il matrimonio. Infatti se è vero che l’amore nasce e si sviluppa nel cuore di due persone, ciò non autorizza a pensare che sia un’esperienza del tutto privata.
Quando un ragazzo si innamora esige giustamente che tutti si rapportino con la sua ragazza rispettando il sentimento che è nato tra loro. E tutti devono comportarsi con lei come con una persona legata affettivamente a lui.
E’ un esempio per dimostrare come il rapporto amoroso abbia risonanze sociali innegabili. Ed è proprio questa socialità che fonda il diritto di porre nella comunità delle norme sul matrimonio, e nello stesso tempo fonda nella coppia il diritto di essere riconosciuta e aiutata nella comunità. Ciò vale anche sul piano ecclesiale.
“La Chiesa è casa di santità, e la carità di Cristo effusa dallo Spirito Santo, ne costituisce l’anima. In essa tutti i cristiani si aiutano reciprocamente a scoprire e realizzare la propria vocazione nell’ascolto della Parola di Dio, nella preghiera, nell’assidua partecipazione ai sacramenti e nella ricerca costante del volto di Cristo in ogni fratello”(2).
Con questa fede dovremmo ascoltare la Chiesa, che in nome di Dio ci insegna maternamente quanto segue: “I fidanzati sono chiamati a vivere la castità nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà e alla speranza di riceversi l’un l’altro da Dio. Riserveranno al tempo del matrimonio le manifestazioni di tenerezza proprie dell’amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente a crescere nella castità” (CCC n.2350). “La fornicazione è l’unione carnale tra un uomo e una donna liberi, al di fuori del matrimonio. Essa è gravemente contraria alla dignità delle persone e della sessualità umana naturalmente ordinata sia al bene degli sposi, sia alla generazione e all’educazione dei figli”(CCC n.2353). Perciò anticipare nel fidanzamento i gesti tipici del matrimonio è un disordine morale, cioè non è cosa buona, giusta e vera per la persona. Con questo gesto, l’uomo dimostra anche di non dare fiducia alla parola di verità che Dio Padre pronuncia su di lui attraverso la Chiesa e, pur non pensandoci, manca d’amore verso Colui che è l’amore. Ecco perché con questo peccato sulla coscienza non ci si può accostare all’Eucaristia, se prima non ci si è confessati.
b. La dimensione SOCIALE della sessualità: la convivenza
Sul piano sociale, la convivenza vorrebbe assumere l’apparenza del legame coniugale senza accettare nessun tipo di vincolo, ma non solo: infatti sulla base del valore dei sentimenti vengono di fatto negati non solo i doveri reciproci dei componenti della coppia, ma anche i doveri verso la società.
Nella convivenza la dimensione sociale dell’amore è negata:
– quando affermo che il matrimonio legale, sia religioso che civile, “è una formalità”. Ciò equivale a negare che l’uomo senta il bisogno di donarsi agli altri. Il matrimonio civile è indicato dalla stessa “Costituzione della Repubblica Italiana” come realtà che sta prima dello Stato ed al suo fondamento:- La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio -(cf. Art. 29-30-31 ss.). La convivenza non tiene conto che proprio il matrimonio è la cellula che forma il tessuto sociale e stabilisce diritti e doveri dei singoli. Non si possono reclamare i diritti ai servizi sociali senza contribuire con le tasse al loro sostegno. Disgregando la famiglia col disimpegno, si sfalda non solo “la fede”, ma la comunità umana stessa strutturata socialmente. La convivenza dunque, svela un certa paura di donare tutto.
Da quanto detto si può riassumere che la convivenza non esprime la donazione reciproca totale. La responsabilità va tuttavia valutata non solo in linea di principio, ma anche in relazione alla conoscenza della verità che hanno i singoli, alla loro fede e storia; dunque la gravità del peccato è proporzionata a tutto ciò, ed il confessore ne terrà conto.
Abbiamo capito, cari fratelli e sorelle, che Gesù non ci chiede di osservare il sesto comandamento “perché lo dice la Chiesa”, ma ci chiede di capire perché la volontà di Dio così si esprime attraverso la Chiesa!
Accettare tutto questo richiede però l’umiltà di chi si affida, perché sa che il Creatore conosce meglio di noi l’uomo e il suo grandioso mistero.
La Chiesa non fa che dare voce a quanto Dio scrisse in natura. Se la contraccezione o la convivenza non intaccassero la verità sull’uomo, la Chiesa non si opporrebbe ad esse. L’uomo è persona: un essere capace di manifestare l’amore, in modo umano, totale, fedele, fecondo. Così come mangio da uomo, non da animale, ed esprimo me stesso anche in questa banale azione, a maggior ragione mi unirò da uomo.
Riguardo alla convivenza sia etero che omosessuale oggi rientrante in una proposta della legge italiana denominata “PACS”.
5 – Un confronto tra i giovani
Come abbiamo avuto modo di vedere nel corso degli argomenti trattati, la persona moralmente impegnata è anzitutto sincera con sè stessa e con gli altri sulle vere ragioni del suo agire. Cerca cioè di ascoltare le ragioni e di distinguere gli argomenti buoni a cui conformarsi.
L’uomo è un essere morale perché spontaneamente si interroga sulla bontà delle sue azioni, e non solo sul piacere che ne deriva. Dio, la famiglia, la vita nostra e degli altri, la sessualità, non sono moralmente indifferenti a nessuno.
Inseriamo qui le considerazioni fatte da alcuni studenti in un corso di morale tenutosi sull’argomento nel 2000 all’Università di Notredame (Indiana, U.S.A).
Per esempio, si è visto che il fatto del sesso segna profondamente l’affettività, l’intimità e le strutture morali della persona, creando un contesto intessuto di aspettative, di comportamenti, di risposte, e di ragioni per lodare o biasimare o rivendicare. I partners di un rapporto sessuale diventano subito complici su molti livelli, nel bene e nel male.
Uno degli studenti, Lina Sydris, ha riportato in classe la recente scoperta dell’oxytocin, un ormone che pare venga emesso dalla donna solo durante l’allattamento e i rapporti sessuali. L’effetto di tale ormone sarebbe di creare nella donna un forte attaccamento emotivo vuoi verso il bambino, vuoi verso il partner. Oxytocin o no, un forte attaccamento si verifica subito anche nell’uomo; e una delle conclusioni di Lina è stata che:
“Poiché un legame nasce inevitabilmente ogni volta, più partner sessuali si hanno più il legame con ognuno si fa debole: il sesso prematrimoniale perciò, aumenta in seguito drammaticamente le chances di divorzio”. Così, si è espressa poi Anna Grasso: “Aspettare irrobustisce il legame coniugale, poiché il rapporto sessuale diviene qualcosa che i coniugi hanno condiviso solo l’uno con l’altro”.
Non è strano che dove il sesso si fa routine e prodotto commerciale, come nell’industria televisiva e cinematografica, il divorzio divenga la regola e la fedeltà coniugale la (rarissima) eccezione. Se ne ricava che il sesso funziona automaticamente in modo da favorire la decisione di essere fedeli in un rapporto coniugale esclusivo, e il sesso occasionale danneggia sempre automaticamente la capacità morale di fedeltà.
Il corpo sembra parlare un suo linguaggio con cui, qualunque siano le intenzioni dei partner, incide indisturbato i caratteri dello spirito.
L’esperienza sessuale è affettivamente così forte da annebbiare la scelta della persona con cui condividere l’esistenza.
Lina non ha avuto dubbi (e nessuno in classe l’ha contestata):
“Il legame creatosi con i RP rende più difficile lasciarsi anche qualora ci si renda conto che non si è fatti l’uno per l’altra”.
La piega del discorso ha poi condotto spontaneamente gli studenti a stabilire un nesso tra il sesso e il rapporto stabile tra uomo e donna che chiamiamo matrimonio. Solo il matrimonio è un patto così forte e così impegnativo da giustificare (= rendere giusta) di fronte a Dio e agli uomini anche l’unione corporea.
“Praticate l’amore soltanto nel vincolo matrimoniale, poichè i rapporti prematrimoniali rendono più difficile la scelta del giusto compagno di vita. Cristo non è stato affatto indulgente in fatto di tradimento coniugale, di aborto, di relazioni prima e fuori dal matrimonio, di relazioni omosessuali. Ricordatevi che la permissività non fa felice la gente”.
(Giovanni Paolo II, Discorsi, in Famiglia Cristiana n.14 – 2005).
“La donazione fisica totale sarebbe menzogna se non fosse segno e frutto della donazione personale e totale, nella quale tutta la persona, anche nella sua dimensione temporale, è presente: se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di decidere altrimenti per il futuro, già per questo essa non si donerebbe totalmente”.
(Giovanni Paolo II, Familiaris consortio n.11).
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano” (Gv. 10,25-28)
Alcune conclusioni…
Una prima constatazione di buon senso: il sesso unisce. Crea cioè subito tra gli amanti un’unione affettiva, psichica, emotiva e intima speciale, che nessun’altra relazione è in grado di eguagliare. Il sesso produce un legame, poiché il corpo parla un linguaggio che va anche al di là delle intenzioni coscienti del partner. Ora, poiché questo legame nasce più o meno consapevolmente ogni volta, più partner sessuali si hanno, più il legame con ognuno si fa debole.
Saper aspettare irrobustisce il legame coniugale, perché il rapporto sessuale diviene qualcosa che i coniugi hanno condiviso solo l’uno con l’altro, dopo averlo desiderato senza soddisfarlo per un certo periodo. Questo impegno comporta fatica come in una salita verso la cima, ma rinsalda e fa crescere la stima reciproca!
Il rapporto sessuale prematrimoniale determina un accecante “effetto valanga”, poiché affettivamente è così forte da annebbiare la scelta della persona. Il fidanzamento è tempo di verifica della scelta, tant’è vero che si può ancora ripensarci. Ebbene, i RP nascondono effettive incompatibilità tra i fidanzati pronte ad emergere dopo il matrimonio.
Esiste un nesso fra il sesso e il rapporto stabile tra uomo e donna. Dunque è innaturale creare attraverso il rapporto sessuale un’intimità così forte con il rischio fondato di romperla. Ciò avverrà a prescindere dalle buone intenzioni delle persone: il significato oggettivo del sesso infatti, prevale sul significato soggettivo. Il don Giovanni impenitente può credere soggettivamente che nessun rapporto è per lui realmente importante, ma non può evitare che ciascuno di quei rapporti lasci segni profondi nella struttura più intima della sua persona. È un effetto automatico del sesso.
L’obiezione classica consiste nell’ipotizzare che due ragazzi abbiano già deciso di sposarsi, e che solo un lasso temporale “organizzativo” (la casa, il lavoro, gli studi…) li separi dal matrimonio. Perché “rifiutarsi” quegli atti che, compiuti dopo le nozze, la Chiesa considera pienamente legittimi? L’errore del ragionamento sta nella premessa: anche in casi simili, il sesso avverrebbe al di fuori di una decisione di permanenza. Soltanto il matrimonio è un punto di non ritorno che cambia la vita. La castità prematrimoniale è il percorso che prepara la comprensione della fedeltà nel matrimonio. Non si può capire l’indissolubilità matrimoniale se si rifiuta il valore della continenza prima delle nozze: l’uomo è unico e unico è il dono che può fare del suo essere vivente.
La convivenza “di fatto” è, in tal senso, un abbaglio per le coppie moderne: infatti, esse pensano in questo modo di “provare” il matrimonio, mentre la convivenza è tutto fuorché una prova di matrimonio, poiché a differenza del sacramento manca della responsabilità di una vita altrui per tutta la vita. C’è una bella differenza tra coniuge e compagno: l’uno, da cum e iugum, è colui con il quale divido tutta la vita, pesi compresi; l’altro, da cum e panis, colui con il quale dividere il pane – esperienza di condivisione solo parziale. Il motto implicito di ogni convivenza è: “fin che dura”.
Nonostante queste argomentazioni, resta oggi molto difficile convincere le persone che è meglio sforzarsi di aspettare la prima notte di nozze. Da un lato, gioca in senso contrario la pulsione degli istinti, che la modernità ha pensato di liquidare secondo le parole di Oscar Wilde: “L’unico modo di vincere le tentazioni è assecondarle”. Può darsi che ad alcune generazioni non garbi la verità morale. Ma di fronte al lungo cammino della storia, la verità si impone: una società non casta è ricca di divorzi e povera di figli.
Che cosa c’è nell’unione coniugale da farla così grande, bella e attraente? Lo rivela la solitudine: bisogna probabilmente partire da lì. L’essere umano non è fatto per stare da solo. Qualunque cosa sia la “solitudine” è certamente disumana e contro natura. Il linguaggio non è solitudine e così il pensiero, fatto miriadi di concetti e segni linguistici. La storia non è solitudine e così la scienza, la letteratura, la posta elettronica e la preghiera. I valori morali non sono solitudine. I nostri corpi non sono solitudine… Dare a qualcuno la nostra importanza ed essere importanti per qualcuno è tutta la nostra felicità. Nulla vale la pena se non c’è qualcuno a cui darlo, o con cui condividerlo e nulla importa se non c’è qualcuno che pensa a noi per noi stessi, cioè che ci ama.
L’unione coniugale è anzitutto creare insieme. La vita è un grande progetto, e l’unione coniugale è l’aspirazione a progettarlo insieme e condividerne tutta l’avventura. Donazione totale, condivisione totale e accettazione totale, formano i primi sentimenti morali genuini di una giovane coppia. Così è dei buffi tentativi di dimostrare che “niente ha senso senza di te”, e “che tutto ciò che sono e faccio ti appartengono” e “che tutto ciò che ti riguarda è per me importante e mi piace”.
Fedeltà è dimostrare a qualcuno che vale così tanto da donargli tutto senza riserve. Chi non è fedele “per sempre” perde la possibilità di realizzare la sua libertà. Dunque l’ordine della natura ci parla del nostro desiderio di un amore fedele, come quello di Dio per noi che infonde pace e sicurezza. Ciò significa che per natura tendiamo prima di tutto all’unione con Dio e percepiamo la sua volontà già nella natura come il fondamento della nostra pace interiore, la quale merita ogni sacrificio.
“La donazione fisica totale sarebbe menzogna se non fosse segno e frutto della donazione personale e totale, nella quale tutta la persona, anche nella sua dimensione temporale, è presente: se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di decidere altrimenti per il futuro, già per questo essa non si donerebbe totalmente”
(Giovanni Paolo II, Familiaris consortio n.11).
“Molti si domandano: perché la famiglia è così importante? Perché la Chiesa insiste tanto sul tema del matrimonio e della famiglia? Il motivo è semplice, anche se non tutti riescono a comprenderlo: dalla famiglia dipende il destino dell’uomo, la sua felicità, la capacità di dare senso alla sua esistenza (Fc 86). Se viene meno la convinzione che in nessun modo si può equiparare la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna ad altre forme di aggregazione affettiva, è minacciata la stessa struttura sociale e il suo fondamento giuridico”
(Giovanni Paolo II, 9-10 ottobre 2001)

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