Dino e TIlde Battistella

Tilde e Dino Battistella

Mia mamma si chiamava Iride ma tutti la chiamavano Tilde, perché nacque la notte in cui morì sua nonna Clotilde. Mio papà invece era Dino e basta.

Mia mamma era figlia di un ferroviere socialista, i suoi parenti erano tutti contadini, miriadi di cugini tra il mantovano e il rovigotto.

Mio papà era figlio di un ragioniere delle cartiere Fedrigoni, media piccola borghesia, con propensioni araldiche di nobiltà decaduta all’inizio del secolo scorso, pochi i parenti tra il padovano e il vicentino.

Siamo arrivati a Ponte Crencano nel 1959. Per noi era un gran salto di qualità rispetto a dove abitavamo prima, in un piccolo e vecchio appartamento a Borgo Venezia.

A Ponte Crencano c’erano solo le nostre case Agec, oltre a due case con qualche anno più delle nostre in via Mercantini, vicino al distributore della “Fina”, e ad una casa in via Prati, vicino all’osteria che allora si chiamava “Da Ugo”, dove andavamo qualche volta a vedere la TV o a giocare a carte le sere d’estate, sotto un pergolato d’uva, che lasciava cadere a terra i grani marciti, con un profumo nell’aria che ho ancora nel naso.

Il resto solo campi. E poche strade, che in quei giorni di San Martino, periodo tradizionale di traslochi, erano piene di fango, con le poche macchine presenti che ogni tanto slittavano.

C’era tutto da fare, ma proprio tutto, a parte le case dove stavamo, alcune ancora  non completamente rifinite. Mio padre e mia madre si misero subito sotto, dal condominio alla politica, finanche alla parrocchia, con l’arrivo di Don Ivo, al gruppo sportivo, all’Azione Cattolica.

Mancavano le recinzioni ai condomini, che erano anche da regolamentare. Mancavano i marciapiedi, i lampioni della luce, le strade non erano asfaltate, mancavano le scuole, mancavano i negozi, in chiesa si andava dai Camilliani. Allora non servivano i parchi gioco, perché si poteva liberamente scorazzare per i campi, e, dove non si poteva, scavalcavamo i fili spinati per andare a mangiare uva e marasche, e prendevamo qualche fucilata  a sale da parte dei contadini.

Mio papà era della corrente di destra, mia mamma era della corrente di sinistra del partito che allora andava per la maggiore, mio papà era anche il segretario di sezione, e molto fecero per migliorare la qualità della vita di tutti, lo sentivo nelle discussioni che facevano in casa. Ma non ho la percezione di fatti particolari o eclatanti, non c’era questa sorta di autocompiacimento, da noi non era costume fare sfoggio delle proprie azioni.

Ho saputo che mia mamma faceva parte della San Vincenzo solo il giorno del suo funerale. “Non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra, non suonare la tromba davanti a te”. Quindici giorni dopo che è morta, ho pensato di prendere il suo posto e, con altri, ho fondato un gruppo San Vincenzo in Valpolicella, dove abito da oltre quarant’anni. Ho già detto troppo, i dettagli vengono lasciati al silenzio.

A Ponte Crencano io venni subito istradato a fare il chierichetto dai Camilliani e poi, tramite Don Ivo, i miei mi fecero fare il concorso per entrare al Don Mazza. Mia sorella frequentava i Padri Comboniani, noi eravamo lettori del Piccolo Missionario e di Nigrizia.

Mio papà morì presto, nel 1970, per un incidente con la moto, mentre assieme andavamo a trovare il mio padre spirituale Don Romeo a Sole di Tregnago. Io ero davanti col mio motorino, lui dietro con il suo, ma un ciclista gli tagliò la strada per andare a parlare della tempestata del giorno prima con un suo amico contadino, e finirono entrambi a terra. Il ciclista non si fece quasi nulla, mio papà batté la testa. Lo portai all’ospedale con una macchina di passaggio, ma fu tutto inutile. La sera del giorno dopo camminavo in silenzio assieme a Don Francesco, per le strade del quartiere.

Mia mamma Tilde rimase vedova a 49 anni e dovette darsi da fare ancora più di prima, con una crescente agitazione, che non sempre riusciva a mascherare, anche per aiutare mia sorella che, nel frattempo,aveva avuto una bambina, ma suo padre era sparito, volatilizzato. Trovò anche un lavoro al Don Mazza, dove io, dopo l’università, stavo facendo l’obiettore di coscienza.

La mamma è venuta a mancare vent’anni fa, nel 2003. Da alcuni anni soffriva di cuore, alle coronarie. L’abbiamo trovata a casa, riversa a terra, il giorno dopo. Era di gennaio. Lei che aveva sempre freddo, non poteva che morire d’inverno.

Carlo Battistella